elegia giardino

la morte è postesotica


elegia giardino  
come l'anima di mia nonna si innestò nella mia grazie agli alberi del giardino


sei morta da un mese
quando guardo le mie gambe vedo la terra spaccata dalla siccità. ma non immaginavo che per piantare il melograno, avresti dovuto dissotterare un chiodo così lungo, scavare un fosso così largo. cercavi una cassa, un tesoro, un morto, un feto. il giorno di pasqua ritrovare qualcosa non mi avrebbe stupita. è stato il secondo chiodo a rendermi inquieta. o ero già inquieta quando sono entrata in giardino. cercavo animo nelle gestazioni vegetali delle tue foglie rosse. il nuovo chiodo era la spina conficcata nel cuore poco prima. un segno doppio sulla terra, il bacino dei dolori. se è fuori di me, non fa già più male.

un mese e un giorno
in questo giardino ci sono delle ombre. si nascondono sotto gli alberi. quando cerchi di vederle si muovono veloci. la prima l’ho vista di notte. avevo gli occhi chiusi. è salita dal’ulivo, dalle sue radici. è venuta a dirmi che mia nonna era morta. il mio cuore accelera quando lo sente. è come se anche io dovessi morire. o andarmene da qui o da te, che è lo stesso. il tuo taglio apre il tempo. i punti sono interni, si scioglieranno senza l’aiuto di nessuno. la cicatrice si vedrà, ma la ferita no. è troppo intima e in un certo senso è già passata. senza quei rami bassi, diventerai un albero vero.           
  
un mese e due giorni
l’innesto della tua anima nella mia aveva la forma di una conchiglia. era nera, fossile. l’incisione è avvenuta all’altezza del petto, tra i seni. germoglia in questi giorni come spuntano i denti. non posso vederlo ma dentro di me sento qualcosa erompere. piango, cantando alleluia. le radici sono abbracciate dai nervi della mandibola. prima di morire eri rimasta a bocca aperta come un pesce. amo le piante acquatiche perché rinascono alla luce.

un mese e tre giorni
la notte ha un riflesso sui vetri delle finestre. appendo due pupille nere alle mie orecchie. non posso vedere attraverso i tuoi silenzi. posso fissare le tue parole, fissare i particolari. l’erpes sul tuo labbro inferiore. i capelli tirati sulla fronte. abbiamo lo stesso i nostri debiti, anche se non li riconosciamo. bisogna piantare le rampicanti in ordine, dare un senso. potrebbero soffocarsi a vicenda. l’ulivo mi protegge.

un mese e quattro giorni
l’ulivo fa i fiori, la mimosa fa i semi, il nespolo fa le nespole. le generazioni sono contemporanee. le foglie non cadono mai tutte insieme. gli alberi sempreverdi seguono le stagioni ma le maestre dei bambini non ne hanno mai tenuto conto. ci sono tempi non conformi. nessuno ne conosce i rossori o le piene nudità. non sei mai ingiallita come prima di morire. sarà vero che gli alberi fioriscono più, e meglio, quando potrebbe essere la loro ultima volta. i colori sono troppo intensi, esagerano nelle quantità. è un allarme lo splendore della fine. non ho potuto curarti.

un mese e cinque giorni
senza motivo il suo calore mi ricorda il tuo dolore. forse perché in fondo sono due forme di lamento. parlare ossessivamente dei nostri morti. dire il loro nome, farli vedere attraverso fotografie. soprattutto se sono morti di una morte ingiusta, ribelle, e se sono vissuti di una vita giusta, ribelle. attuare la compresenza dei morti e dei viventi. da quando sei arrivata nel pacco e stai sul comodino, vieni a vedere cosa faccio. prima non venivi mai a vedere cosa facevo, con chi stavo. mi pensavi e io ti pensavo. ora non devo più nasconderti.

un mese e sei giorni
ho assistito alla tumulazione e mi chiedevo quanto spazio c’era. il cimitero è piccolo. se l’aria non ti serve, di cosa hai bisogno? non è incredibile che sui prati dei morti senza nome crescano le fresie selvatiche? mia madre non capiva neanche più questo.  l’unica a potere capire la mia gioia, non la incontro mai. mi regalava sempre le fresie dei secchi di plastica azzurra agli angoli di città. lo spazio non è troppo piccolo. preferirei pensare alle tue ossa sporche di terra. ma non so ancora niente delle decomposizioni. so che cerchiamo di proteggerti. immagino lì dove ti abbiamo lasciato come un guscio.

un mese e una settimana
ho vissuto sempre in case non mie. mi sono adattata ai mobili anni cinquanta, all’antiquariato restaurato, ai materassi segnati, ai cassetti e ai lavandini. questa casa è piena di cose non mie. per lo più regalate da chi le ha abbandonate, sostituite, chi doveva disfarsene, partire. da quando sei arrivata, sorridi sempre. non hai mai sorriso tanto. anche delle belle sorprese gioivi interiormente. 

un mese, una settimana e un giorno 
nonna, si appartiene a dei luoghi, o a degli alberi? gli alberi sarebbero come dei rifugi, i luoghi, invece, sarebbe da dove sono spuntate le anime e dove devono tornare. nonna, com’è bello andare, pagina dopo pagina. quest’anno il nespolo ha fatto più foglie che nespole.e io ho fatto più pagine che soldi. ieri ho pensato alla pasta con olio e foglie di basilico. piatti e piatti. era un escamotage delizioso perché l’olio era del tuo uliveto e il basilico appena raccolto. mi hai insegnato a conservare i semi di anno in anno. lo stesso basilico durava, nei vasi sul balcone. desideravamo la terra. 

un mese, una settimana e due giorni 
alla fine i chiodi sono serviti a fissare l’asse della panca. sul tronco del melograno due cavallette si accoppiano tra le foglie ancora rosse. io e te guardiamo senza sapere. l’acqua che era calda ora è fredda, l’acqua che era fredda ora è calda. lo dice la sensibilità dei capezzoli. gli spasmi accadono prima di generare. tutti dicevano che eri agitata le ore prima di morire. 

un mese, una settimana e tre giorni
per la prima volta io e mia madre saremmo d’accordo. te lo immagini. e non su un paio di scarpe o su una tenda. quando ci penso mi commuove il senso della vita. raccogliere le nespole, le biete hanno le foglie grandi, le fragole fanno fiori. chi ama la terra, amerà generare. amerà le tecniche. amerà le intese.

un mese, una settimana e quattro giorni
sul tappeto rosso ho ritrovato un seme di nespola. la natura è rigorosa. non tutto quello che può generare genera. lo lancio dalla finestra verso la terra. acqua e sale. faccio dei gargarismi. gli spasmi sono durati due giorni. agitata come un pesce che sta per morire in un secchio e poi viene ributtato in mare.

un mese, una settimana e cinque giorni 
quando mangio una nespola dall’albero, mi chiedo sempre come facciano la terra, l’acqua, la luce e un tronco a diventare qualcosa di dolce. 

un mese, una settimana e sei giorni 
c’è una sola cosa che mi calma la fame: il sole. con il tempo mi sono convinta che l’epidermide è fatta come sono fatte le foglie. innervata di qualcosa che fa del sole una fonte di nutrimento. ho dissotterrato la radice di zenzero. perché non ti lascio in pace? vorrei vedere come ti stai trasformando al buio. 

un mese, due settimane
di notte una donna incinta trasparente cammina per il giardino. si espone all’influenza dei pianeti. il colore del sole e l’ipnosi della luna. ci addormentiamo. l’amaca ci assorbe. 

un mese, due settimane, un giorno
oggi è il giorno dei rivolgimenti. il tappeto raso di cotone sostituisce quello alto di lana. leggo e non scrivo. penso che se l’isola fosse ancora isola, nessuna si sarebbe lamentata che tu fossi morta, ma che fossi ancora in vita. ci sarebbe stata una donna ad aiutarti e una sarebbe bastata.